Tutto è cominciato con una bicchierata in un locale del sud argentino, qualche birra e varie vivande locali. Le etnie dei compagni di tavolo: io italiano, un argentino, un tedesco e un nord americano. Era palese che la conversazione degenerasse in una disputa sulla “cultura del cibo”, io propenso a non mollare lo scettro tutto tipico italiano di degustatori di primordine, gli altri a puntualizzare la mania italiana del buon cibo.
La discussione ci ha visto pacati fin quando è arrivata la classica frase: “voi italiani pizza e spaghetti”. A questo punto, i geni di casa si sono fatti largo di prepotenza e sono usciti allo scoperto, con tutto quello che ne consegue di primordiale spirito patriottico, e il tranquillo pomeriggio al bar si trasforma in una discussione a fil di lama.
Capisco un argentino figlio di emigranti o un tedesco che comunque hanno una certa cultura in fatto di cucina, ma che un americano si permetta di giudicare secoli di cultura culinaria questo proprio no. Da qui è nata l’intenzione di mettere in piazza la mia personale opinione sui viaggiatori italiani e sulle loro esigenze quando si siedono a tavola.
Partendo con il piede critico, devo ammettere che gli italiani in viaggio, per quanto riguarda il cibo, sono dei veri rompiscatole, ma, se si analizzano le abitudini nostrane in fatto di cucina è davvero difficile eguagliare la vastità e varietà di cibi che si possono degustare nella nostra penisola. Tornando al tema in questione, io e miei compagni di tavolo iniziamo un’analisi delle tipologie di turista e delle primarie necessità durante un ipotetico viaggio in un paese straniero.
L’anglosassone pone al primo posto come interesse le bellezze architettoniche e culturali. Il degrado e l’abbandono di certi siti non lo lasciano indifferente, tanto da intraprendere la crociata della salvaguardia in qualsiasi angolo del pianeta si trovi. La cucina locale, messa in secondo piano, non desta particolare interesse. Il cibo è per il sostentamento quindi e le basi culturali dell’arte culinaria del luogo vengono relegate al margine degli interessi del viaggio.
Il nordico vede nell’aspetto ambientale l’interesse di primo ordine, non tralasciando di far notare l’eventuale degrado. Quindi le strutture ricettive devono avere gli standard descritti nell’eventuale opuscolo di viaggio, creando alterazione e disorientamento se viene apportata anche la più piccola modifica, pretendendo, a volte creando situazioni paradossali, la realizzazione di quello che vi era scritto. Per il cibo si addentra nel mondo del “si prova tutto, basta non avveleni”, senza timore e con un pizzico di avventatezza.
E qui entriamo nel dedalo di problematiche che si possono riscontrare nel viaggiatore al di fuori del proprio contesto sociale. Certamente l’interesse ambientale non lo lascia impassibile, le culture locali lo affascinano e si lascia trasportare volentieri anche se sono richieste prestazioni che lo vedono al limite della sua tenuta fisica. Si lascia coinvolgere dagli aspetti sociali e subito sposa le cause locali, arrivando anche all’adozione del nonno in via di estinzione o peggio, al sostegno alla campagna per la salvaguardia della formica con tre antenne, e cosi via. L’aspetto delle strutture ricettive è sempre sotto la lente di ingradimento del viaggiatore e a volte spostano l’ago della bilancia nella scelta dell’itinerario o della località. Però spesso non vengono sdegnate le scomodità locali, che rendono il nostro viaggiatore parte attiva degli usi e abitudini della zona.
Il cibo, già come vocabolo può apparire volgare ad una mente occidentale. E’ come chiamare la Gioconda di Leonardo, “la contadina sorridente”, stride, la parola “cibo”, meglio utilizzare “l’alimentazione” vasta base culturale che ci si porta appresso e che si è evoluta insieme alla nostra società. Lo si può anche notare in molteplici raffigurazioni artistiche: l’apice lo si trova in un artista, l’ Arcimboldo, che, dagli elementi della cucina, ne ha ricavato arte.
Bisogna anche dare spiegazione di come si è giunti a questi livelli di necessità dove il solo ingerire per sostentarsi non è più bastato ma,  il condividere il cibo con altri è divenuto una forma di suggello di un incontro. Viandanti che percorrevano le vie giungevano ai luoghi di arrivo del loro viaggio e l’incontro si suggellava con un pasto corposo. Ogni festeggiamento se si vuol definire tale deve finire “a tavola” tra vivande di ogni genere, e “sulla tavola”. Sedersi attorno ad un tavolo è un elemento essenziale e a volte sottovalutato soprattutto nei paesi di origine islamica dove si nota lo sguardo dell’occidentale che a una cena tipica si guarda intorno cercando di scorgere un qualsiasi mobile che funga da tavolo. Invece, ritrovandosi a carponi su un tappeto finemente lavorato, non trova pace, né posizione degna di fargli degustare comodamente le vivande offerte.
Sinceramente, diciamocelo, sedia e tavolo sono state delle innovazioni che gli occidentali più hanno apprezzato, creando l’arte dello stare a tavola. A volte mi stupisco della resistenza fisica del corpo umano, qualora si sia invitati ad un matrimonio: ore passate seduti senza far vedere il dolore fisico del fondo schiena costretto, sagomato e a volte inciso in sedie di estetica d’autore ma di dubbio confort. Nonostante ciò, le sofferenze posturali sono un passaggio obbligato, se si vuole raggiungere il traguardo del dessert apice di ogni lauto pasto.

Antipasti

Qualsiasi argomento (sia questo l’ultima partita di calcio o la riforma sulla giustizia) appassiona e coinvolge gli interlocutori se viene introdotto attorno ad un antipasto. Non di certo due olivette, ma una serie di leccornie che ti fanno ripercorrere, come in un viaggio itinerante, molteplici località: olive ascolane, bruschette ai formaggi, gamberetti in salsa rosa, melanzane, peperoni e sottaceti vari.

Primi

Primi piatti forti e piccanti portano con loro il calore del sole e la cultura di un luogo. Variopinti e delicati ripercorrono le coste e ti cullano sulle onde. Corposi e pieni salgono nelle vallate e alpeggi sovrastati da imponenti massicci montuosi.

Secondi

Il viaggio continua senza sosta con i secondi portandoti all’interno delle dimore, presentandosi ricco e abbondante con decine di sfaccettature. Caldo e fumante a contrastare i pungenti freddi del nord. Brioso e tenue nella sua temperatura a rispecchiare le caratteristiche del sud.

Per gradire

E poi i formaggi che, senza ben definita collocazione, prendono posto a seconda del momento e dell’umore. Non si sono creati una loro solida nicchia all’interno di un pasto, ma preferiscono spaziare a piacere come il momento di sorpresa all’interno di un viaggio, quello che non ti saresti mai aspettato di vedere, ma eccolo lì,  ti capita qualcosa che dà un senso al tuo viaggio. Forse è una cosa piccola e banale, ma che ti rimarrà impressa nella mente ancor più del monumento che è di fronte a te, a perenne suggello dei nostri avi.
dessert
Pensate sia finita? Manca ancora l’assaporare quello che di dolce vi è del luogo. Gli strati di vari ingredienti ti portano all’interno dell’animo della gente del posto, i colori e le guarnizioni sono l’espressione delle allegrie locali. Ora si potrebbe dire “siamo giunti alla frutta” ma, secondo voi un viaggio lo si fa a bocca asciutta? Penso proprio di no.

Carta dei vini

Dobbiamo allora prendere in considerazione un altro aspetto del viaggio di un occidentale: il vino. Ci tengo a puntualizzarlo. Un pranzo senza vino è come un viaggio senza compagni, come non scambiarci impressioni, vivere assieme momenti e condividere emozioni. Allo stesso modo, riuscire ad abbinare un vino ad un piatto è un’impresa non priva di rischi. Richiede esperienza e cultura, come in un viaggio, l’abbinare luoghi con le giuste guide fa la differenza.

Infine giunti al caffé, che suggella la fine del nostro percorso, se il viaggio è stato di suo gusto e le portate soddisfacenti, il commensale viaggiatore lascerà una lauta mancia e soddisfatto proseguirà il viaggio, ovviamente per scoprire nuovi luoghi e nuovi cibi.
Spero di avervi, almeno in parte, illustrato perché gli abitanti di questa vecchia europa sono complicati quando escono dal loro paese, ma quello che più spero, è di avervi fatto viaggiare, almeno per qualche minuto.

Mauro  Tiozzo